venerdì, settembre 14, 2007

Un Partito Democratico (per davvero)

Dal blog di Mario Adinolfi, dove si trova l'intero articolo.


Ma lo capite o no che il Partito democratico a cui penso è il partito in cui io, tu che mi leggi, chiunque abbia la possibilità di far valere le proprie opinioni, mobilitandosi per farle contare, ha un'opportunità di diventare realmente incisivo grazie a un partito totalmente orizzontale, sul modello della rete e dei blog? Ma è chiaro o no che quello che stiamo costruendo in giro per l'Italia e non solo è un modello per far vedere come si fa, come si pratica la democrazia diretta? In politica, anzi, in democrazia c'è una sola strada: assumersi la responsabilità della fatica di costruire il consenso attorno a proposte. Il resto è lamento. Il resto è pigrizia travestita da indignazione.


Certo, devono essere disponibili degli strumenti. Attualmente in Italia questi strumenti sono pochissimi, ma ogni volta che qualcuno si alza e li utilizza, la risposta dei cittadini è importante. Lo vedremo alle primarie e lo vedremo al referendum. Altro strumento di democrazia diretta è la proposta di legge di iniziativa popolare, non a caso utilizzata con efficacia da Beppe Grillo per il suo V-Day. Il direttismo è questo: ognuno conta per le proprie opinioni, traformate in proposte e capaci di ottenere consenso.

Perché nel tempo post-ideologico, come si fa a decidere quel che è giusto e quel che è sbagliato se non affidandoci totalmente alla democrazia? Come si fa a dire "questo è legge" se non chiedendo dalla democrazia diretta il livello massimo di legittimazione delle decisioni?

Voglio fare un esempio per spiegare il processo di decisione che adotterei nel Partito democratico se fossi io a diventare segretario il 14 ottobre 2007. Prendiamo il tema spinoso, tra i più spinosi: il matrimonio gay.

Io ho certamente un'opinione sul tema, ma non voglio neanche indicarla, perché nel mio Pd direttista la mia opinione conta quanto quella di un altro iscritto. Nel mio Pd un numero consistente ma non esagerato di iscritti può, raccogliendo le firme (facciamo trentamila firme) anche per via elettronica, porre una questione vincolante al gruppo dirigente chiedendo l'indizione di un referendum propositivo interno declinato in proposta di legge. A proposito, i miei avversari sempre silenziosi su questo tema, lo indirebbero un referendum del genere? Veltroni, Bindi e Letta farebbero votare il popolo del Pd sul matrimonio gay?

Nel mio Pd governato secondo i criteri della democrazia diretta, trentamila iscritti che vogliono assumersi la responsabilità di presentare al giudizio del partito una proposta di legge sul matrimonio gay, possono farlo ed essere certi che l'intero corpo del partito sarà chiamato a decidere su quella proposta, attraverso un referendum interno in cui si voterà anche per via elettronica e la decisione che sarà assunta dalla maggioranza dei votanti, sarà la posizione del partito. E questo avverrà su tutte le decisioni di alto profilo politico, con esclusione delle procedure direttiste solo riguardo a temi ad alta densità emotiva, come ad esempio la proposta di istituzione della pena di morte a seguito di delitti particolarmente efferati (e, più in generale, i temi ultimi della vita e della morte resteranno fuori dalla proponibilità referendaria). Su ognuno degli altri temi, il mio Pd cercherà la legittimazione massima delle decisioni dalla consultazione più ampia possibile della base, assicurando spazi e tempi di confronto per far maturare le decisioni collettive. Che a quel punto saranno fortissime, perché collettive davvero.

Nessun commento: